COSTRUIAMO IL NUOVO CONTRATTO. INSIEME.

La scorsa settimana la Commissione Lavoro della Camera dei deputati ha audito Confindustria e Confimi relativamente all’esame della proposta di legge riguardante la riduzione dell’orario di lavoro a 32-34 ore di lavoro a settimana, cioè quattro giorni lavorativi effettivi rendendo il venerdì festivo.

Un progetto di legge che i rappresentanti della piccola e della grande impresa hanno respinto mostrando dubbi e scetticismi soprattutto rispetto al calo dei livelli di produttività che un’eventuale realizzazione del progetto di legge porterebbe con sé.

Una posizione che già in passato era stata rappresentata.

Anche se, a giudicare dalle sperimentazioni messe in atto, anche in Italia, il dato non sembrerebbe affatto confermare questi timori, anzi. In Islanda tra il 2015 e il 2019 si è proceduto alla riduzione da 40 a 35-36 ore della settimana di lavoro a parità di salario, coinvolgendo diversi ambiti del settore pubblico, dagli uffici alle scuole materne, dai servizi sociali agli ospedali. Stessa modalità adottata nei paesi della penisola Scandinava, così come in Inghilterra, dove la settimana corta ha ridotto lo stress dei dipendenti, ha migliorato l’equilibrio casa-lavoro e non ha intaccato i ricavi delle aziende. Questa nuova organizzazione del lavoro, dei tempi di lavoro a parità di retribuzione, è stata autonomamente adottata in Italia da Intesa Sanpaolo, Sace, Lamborghini e Luxottica. Ed ovunque ha confermato che la produttività non cala, cresce il benessere dei dipendenti, l’unica flessione riscontrabile è quella delle assenze per cause riconducibili alla malattia. Così come il fenomeno, sempre più diffuso successivamente alla pandemia, del burnout lavorativo.

Non è dato sapere quale sia la posizione di Confindustria e Confimi su un altro tema di dibattito che ciclicamente affiora nelle cronache politico economiche: quello della bassa crescita dei salari nel nostro paese. Questi, negli ultimi 30 anni dal 1991 al 2022, sono cresciuti solo dell’1%, a fronte del 32,5% in media nell’area Ocse. Un dato che manifesta lo squilibrio esistente tra produttività e retribuzioni, la prima cresciuta più degli stipendi nello stesso periodo. Un altro elemento di riflessione dovrebbe essere la caduta della quota dei salari sul Pil, a fronte, invece, della crescita del peso dei profitti (rispettivamente 40% contro 60%).

Una tendenza che si è confermata negli ultimi quattro anni, complice l’esplosione dell’inflazione dello scorso anno a causa delle conseguenze della perdurante guerra alle porte dell’Europa. Se nel 2019 lo stipendio medio era di circa 43mila euro, nel 2022 è sceso a 42mila euro.

Nel triennio l’Italia ha registrato una diminuzione complessiva del -3,4% nei salari, rendendo l’Italia uno dei Paesi con la più bassa crescita salariale in Europa.

Un altro argomento che sarebbe il caso di approfondire sarebbe quello del rinnovo dei contratti di lavoro: secondo l’Istat più della metà delle lavoratrici e dei lavoratori italiani – il 54% – ha il contratto di lavoro scaduto. In valori assoluti significa che quasi 7 milioni di persone, per 31 accordi non ancora rinnovati, tra pubblici e privati, sono senza contratto di lavoro vigente. L’Istat evidenzia anche che in media i lavoratori con un contratto scaduto devono aspettare 29 mesi per avere un rinnovo che sarebbe un diritto. Senza contare che l’attesa infinita quando viene soddisfatta non porta con sé alcun adeguamento all’inflazione. Una sorta di tassazione nascosta. Il tutto con buona pace dell’art. 36 della Costituzione.

Nel sistema delle Casse Previdenziali la situazione negli ultimi anni, però, ha segnato un’inversione di tendenza. Attualmente le lavoratrici e i lavoratori delle Casse hanno un contratto in vigenza, rinnovato alla scadenza del precedente. Ed anche rispetto al recupero economico, gli ultimi due rinnovi (2019/2021 e 2022/2024), hanno dimostrato che un’altra strada è possibile.

Il Coordinamento Nazionale Casse della CISL FP intende rafforzare la contrattazione nel nostro comparto. È un obiettivo dimostrare, con i fatti, che solo migliorando le condizioni di lavoro può aumentare la qualità del lavoro e quindi la produttività. Ma per raggiungerlo l’unica via da percorrere è quella che abbiamo indicato negli ultimi cinque anni: un lavoro di squadra e collettivo. Questa è la ragione per cui abbiamo deciso di lanciare la prima consultazione generale dei lavoratori delle Casse per capire, collettivamente, quale dovrà essere la struttura del nuovo CCNL delle Casse di Previdenza Privatizzate.

Un contratto moderno, trasparente, che riesca a regolamentare, nell’interesse di tutte le parti, istituiti come lo smart working, le progressioni di carriera, il riconoscimento delle competenze e delle professionalità e che veda anche il giusto adeguamento economico, confermando la tendenza affermata negli ultimi rinnovi contrattuali.

Ciò potrà realizzarsi solo con l’impegno di tutti. La CISL FP, come sempre, ci sarà.

 

Andrea Ladogana